lunedì 13 maggio 2013

How to say goodbye


E' una tiepida domenica di sole dalle mie parti. Finalmente l'estate comincia a intravedersi e in perfetta simbiosi con le condizioni climatiche, anche Genoa-Inter è una partita equiparabile alle amichevoli del precampionato tipo il trofeo Birra Moretti o roba del genere.

Il match giocato all'ora di pranzo, mentre nei prati in riva al lago si mangia al sacco o si fa andare la griglia al massimo, termina stancamente e senza troppi sussulti a reti inviolate. Tutto sommato è giusto così. Il pareggio viene vissuto con grande entusiasmo dai tifosi di casa, visto che la  contemporanea sconfitta dei palermitani, fa in modo che quelli del grifone si possano salvare con una giornata in anticipo.

Mentre noi il risultato lo abbiamo metabolizzato o con una buona dose di indifferenza, o con malcelato sollievo, perché siamo quasi alla conclusione di questo campionato maledetto, oppure con un misto di ambedue le sensazioni.


Del resto è fuori di dubbio che chi più, chi meno, tutti aspettiamo la fine di una stagione  che da dicembre in poi si è trasformata in un autentico calvario. Quasi alla maniera di quando si era ragazzi e si attendeva la fine della scuola. Questo in sintesi è quello che è  successo in una pigra domenica italiana di fine stagione.

Al contrario qualche ora dopo nella terra di Albione, all’Old Trafford di Manchester un’immensa marea rossa avvolge il Teatro dei Sogni di sicuro per celebrare la ventesima vittoria del club in Premier League, ma soprattutto per salutare l’ultima volta di Sir Alex Ferguson su quella panchina. 

Le immagini sono impressionanti e commoventi al tempo stesso e credo rimarranno nella memoria di chiunque ami il calcio. E’ il tributo a un uomo di sport irripetibile. Uno che per oltre venticinque anni a inizio stagione si presentava con i suoi ragazzi  per lo stesso motivo: vincere.

Certo nei suoi primi tempi ai red devils  ha coltivato molto e raccolto zero. Però avendo seminato bene, come sono arrivati i primi risultati importanti, tutti in Europa si sono resi conto che volenti o nolenti, se si voleva arrivare al bersaglio grosso bisognava fare i conti con il suo Man Red.

Lascia il più grande allenatore di questa epoca, almeno per me. Una sorta Michelangelo destinato al football che di volta in volta ha scolpito la sua squadra, plasmando tanti campioni. Basti pensare allo sviluppo dell'espressione estetica del suo numero 7: da Cantonà, a Beckam, a Cristiano Ronaldo, per finire con l'immortale Giggs.

Quanti giocatori incredibili hanno beneficiato delle sue metodologie. E proprio oggi anche uno dei suoi fedelissimi, Paul Scoles,  abbandona insieme al suo mentore, poiché è un altro  consapevole di how to say goodbye.


In tutto questo tempo il vero highlander della nostra epoca, non a caso è scozzese, ha attraversato tante ere tattiche: da Trapattoni mentre con il suo Aberdeen compiva autentici miracoli, a quella di Sacchi, fino a arrivare a quella dei nostri giorni segnata da Mourinho, Guardiola e l’astro emergente Klopp. 

Lui è sempre stato attuale, mai fuori moda. E' sempre stato capace di rinnovare sé stesso e il suo gioco. Con pazienza ha saputo montare, smontare e rimontare il giocattolo. E' sempre stato in grado di infondere coraggio e motivazioni fortissime a tutti quelli che ha allenato.

Un cultore del lavoro assoluto, e non poteva essere altrimenti per uno che da ragazzino aveva lavorato come tornitore nel porto della sua città. Uomo ruvido e duro, tremendo con i media e irridente con i nemici. Ricordo una sua fantastica battuta su Inzaghi: "Quel giovanotto deve essere nato in fuorigioco". 

Però è anche persona attenza al sociale, in grado di essere uno comprensiva e generosa. Per esempio chiedere a Gascoigne in fin di vita dall’altra parte dell’oceano, quanto per lui abbiano contato le parole contenute nel dvd che Ferguson gli ha inviato parlando a nome di tutta la squadra.

Se ne va nel miglior modo possibile SAF, da numero uno, con l’ennesimo trofeo in bacheca. Con il suo popolo allo stadio a invocare il suo nome, mentre canta e piange. Con allenatori, giocatori e tifosi di tutto il mondo a rendergli il tributo che merita. A questo proposito credo che tra molte, le parole più belle gliele abbia riservate uno dei suoi figli prediletti, vale a dire Eric Cantonà "Potrà nascere un altro Cantona, un altro David Beckham, un altro Ryan Giggs. Mai, però, nascerà un altro Ferguson".

Quanto avrei voluto vederlo all’Inter, specialmente dopo l’addio di Mourinho. Però il suo destino era quello di marchiare in maniera indelebile una squadra, un colore e una città. Perciò in fondo, è stato giusto così. Tuttavia mi piacerebbe incontralo, per farci quattro chiacchiere in allegria. Magari in compagnia di una buona bottiglia di vino che lui apprezzerebbe di sicuro. “Perché non mi parli di quella volta che hai fatto un mazzo così al Real Madrid con il tuo Aberdeen? Perché non mi racconti di quella pazza finale di Champions contro il Bayern Monaco? …” 

Ciao maestro, mi mancherai. Comunque ti ricorderò sempre con grande piacere, tanto quanto ho sempre apprezzato il tuo calcio. 

p.s. Vi domanderete come mai non ho approfondito più di tanto il discorso sull’Inter. Presto detto, oggi il guru dei mister si congedava dal suo pubblico. A mio parere non era proprio il caso di accostarlo a Stramaccioni, sarebbe stato un sacrilegio.