venerdì 20 marzo 2015

Andare ai resti

Per i pokeristi incalliti andare ai resti significa semplicemente giocarsi l'intera posta. Per le batterie dei rapinatori degli anni '70, questa espressione rappresentava uno stile di vita estremo, senza ritorno. Della serie o la va o la spacca. O noi, o gli sbirri. Per gli interisti credo sia nient'altro che l'emblema della passione stessa. Radicali in quanto tali, un giocatore è troppo bravo o troppo scarso. Il gioco espresso è fantastico o fa schifo.

Così ieri sera doveva essere una di quelle notti: o tutto o niente. I tifosi nonostante il momentaccio della squadra, e con la crisi economica di mezzo, comunque raccolgono l'appello del mister e alla fine in oltre 40.000 rispondono presente. Nei primi quindici minuti il ruggito di San Siro è potente e commovente..  mi riporta alla mente i match di coppa anni '80. Quando il destino ci ha regalato ben pochi trofei, ma il coraggio di chi era in campo è stato immenso e lo stadio tremava a volte fino a ondeggiare..


Poi i lupi tedeschi, complice la solita scarsa concentrazione di Ranocchia and friends, passano in vantaggio e cominciano a giocare in surplace come se si allenassero. Mai vista un'avversaria a San Siro sprecare tante incursioni velenose con tanta sufficienza. Come se fossero stati consapevoli del fatto che in un modo o nell'altro l'avrebbero portata a casa. Nemmeno il momentaneo pareggio di Palacio li ha scomposti più di tanto. Hanno continuato a macinare il loro calcio essenziale ma estremamente funzionale. Tre passaggi in verticale, sempre con l'uomo libero e et voilà, spesso e volentieri uno dei loro davanti a Carrizo.

A un certo punto entra Bendtner, lo ricordavamo bidone e ubriacone a Torino. Però sappiamo che in questa stagione abbiamo giocatori bravissimi a fare proclami altisonanti e altrettanto capaci nel trasformare l'ennesimo scaldabagno avversario nel fenomeno di turno. Insomma con le parole leoni, con i fatti coglioni. Così dopo Ekdal, De Ceglie, Guidetti, riesce a segnare anche lui. Allora i ragazzi della Nord che in precedenza avevano invitato i nostri a tirare fuori gli attributi, finiscono la partita cantando a modo loro che la misura è colma con il resto del pubblico interista che condivide il concetto.






Termina quindi tra lo sconforto di molti e la rabbia di altri questo ottavo di Europa League, che doveva e poteva essere diverso. Un conto è andare a casa a testa alta tipo il Torino. Un altro è mollare il colpo quando si è consapevoli che probabilmente i crucchi saranno tornati a Wolfsburg senza nemmeno fare la doccia. Perché al di là dei singoli, dei mezzi tecnici e degli schemi a questa squadra è mancato il cuore e l'agonismo. Allora in questo caso monta la carogna.  E parlando onestamente senza troppi giri di parole, sì, siamo nella merda più completa. 


Ci ritroviamo metà marzo e la nostra stagione è già finita. Perché io non mi illudo più. Penso proprio che le partite rimanenti non saranno altro che una forma di accanimento terapeutico. Eppure sulla carta il nostro d.s. è un mago del mercato, l'organico di tutto rispetto, abbiamo perfino cambiato il tecnico e acquisito nuovi rinforzi a gennaio. Non è servito a niente. Parlano di progetto, come se questo termine fosse diventato un nuovo eufemismo del caos universale. 


La morale è che in realtà quelli disposti a tutto pur di farcela, per l'ennesima volta, eravamo solo noi. Siamo solo noi quelli che siamo andati ai resti. Sulla falsariga dei protagonisti del film Le Iene di Tarantino, dove un tentativo di spaccata in banca finisce completamente in vacca. Gli unici a scommettere fino in fondo sul passaggio del turno e a uscirne con le ossa rotte. Visto che siamo stati ripagati da giocatori e dirigenti tutti con l'ennesima badilata metaforica sui denti. 


Ora mi rimane soltanto l'impatto emozionale che ho provato nel chiudere la porta di casa ieri sera. Per un beffardo scherzo del destino, mi sono ritrovata a fissare una foto di mio padre allo Olympiastadion di Monaco, con Nick Berti in campo e Trap in panca. Il paragone con quello che avevo appena vissuto a San Siro è stato impietoso. Proprio ieri che era la festa del papà. Quanta nostalgia per il mio babbo che non c'è più e per quei ragazzi in campo con la nostra maglia. Poi mi passa, lo so che mi passa, però che fatica.


mercoledì 11 marzo 2015

OldStyle88

Nulla di nuovo dal fronte. Se servirà del tempo per le riforme dei campionati, di certo ne occorrerà ancora di più per un cambio di visione e di mentalità che attanaglia le menti di politici e padroni del pallone, sempre più ancorati sulle loro posizioni dannose e anti-tifoso.

Dopo le infelici dichiarazioni di De Laurentis in merito a uno stadio che vorrebbe ma non può ristrutturare causa violenti e vandali (mi si dica quando negli ultimi dieci anni, una tifoseria ha devastato uno stadio), ecco tornare di prepotenza la discriminazione territoriale. Ma non doveva essere superata dall’abolizione della norma?? Eppure non pare visto l’eco che continua a creare.

Ovviamente non è passato molto tempo dall’invasione dei Feyenoord a Roma con tutto ciò che ha portato. Un cavallo di battaglia dei media e dei perbenisti era quella dell’educazione nelle scuole.



Se uno più uno fa due, posso tranquillamente affermare che il sistema scolastico italiano, così come quello francesce, greco, serbo, croato, polacco, russo, sono avanti anni luce a quello olandese perché in decenni di visite dall’estero all’Italia e viceversa mai si era verificato nulla di simile.

Senza voler entrare nel merito della questione che mi sembra ovvio sia condannabile nel vandalismo becero e senza significato, voglio porre l’accento anche sulla gara di ritorno e sulla banana gonfiabile tirata a Gervinho. L’eco razzista ovviamente scatenato in Italia e il vandalismo sono stati accolti con spallucce dalla nazione olandese e dal club che ha definito come goliardica la manifestazione di tifo contro.

Il mio concetto di godereccio è un po’ diverso, ma questo dimostra come solo noi in questo paese abbiamo incubi perenni e una ricerca continua del qualcosa di discriminatorio, razzista, e politicamente scorretto.

Mentre gli stati esteri incentivano gli ultras come in Germania stabilendo degli argini entro i quali giostrare ma dai quali non si può assolutamente uscire, qui siamo al punto di impedire di sostare sulle transenne per far cantare, divieto di megafoni e tamburi, di farsi lo scrupolo se la bandiera impedisce la visuale a qualcuno, e se e come inasprire delle pene che per chi le decide significano solo ed esclusivamente di lavarsi le mani. Non essendo capaci di organizzare neanche i tornei dell’oratorio, se non c’è gente è meglio….

Il tutto mentre i veronesi si beffano delle varie leggi acquistando biglietti per Milan Verona al secondo anello anziché per il settore ospiti, gli Juventini (a quali mi riferivo poco fa) subiscono queste richieste (nulla di nuovo a Milano), il derby di Stoccolma dà spettacolo sugli spalti in uno stadio adatto a tutti e in Italia sembriamo il deserto. 

A tal proposito chiudo con le parole pronunciate tempo fa dal nostro presidente Thohir e che riporto integralmente: "La situazione è che in questo momento dobbiamo migliorare insieme, non solo noi come Inter, ma tutti i club, l'intero campionato. Con l'arrivo della globalizzazione dobbiamo cambiare mentalità e visione. Dobbiamo tornare a competere, tante cose devono cambiare, ma la cosa più importante è che gli appassionati della Serie A tornino ad avere fiducia, perché non sono soltanto in Italia, ma si trovano in tutto il mondo".

"Guardi le partite in tv - prosegue Thohir - e la metà dei posti sono vuoti. Non va bene. Molti stadi negli altri Paesi hanno il wi-fi, sono digitali e la gente può connettersi. Ci sono posti migliori, 'settori familiari', aree di sicurezza se succede qualcosa, perché i tifosi sono tifosi. Ci sono i tifosi più fanatici ma anche i tifosi che vanno a vedere la partita con la famiglia e che vogliono divertirsi. Noi dobbiamo proteggere l'interesse di tutti".