Per i pokeristi incalliti andare ai resti significa semplicemente giocarsi l'intera posta. Per le batterie dei rapinatori degli anni '70, questa espressione rappresentava uno stile di vita estremo, senza ritorno. Della serie o la va o la spacca. O noi, o gli sbirri. Per gli interisti credo sia nient'altro che l'emblema della passione stessa. Radicali in quanto tali, un giocatore è troppo bravo o troppo scarso. Il gioco espresso è fantastico o fa schifo.
Così ieri sera doveva essere una di quelle notti: o tutto o niente. I tifosi nonostante il momentaccio della squadra, e con la crisi economica di mezzo, comunque raccolgono l'appello del mister e alla fine in oltre 40.000 rispondono presente. Nei primi quindici minuti il ruggito di San Siro è potente e commovente.. mi riporta alla mente i match di coppa anni '80. Quando il destino ci ha regalato ben pochi trofei, ma il coraggio di chi era in campo è stato immenso e lo stadio tremava a volte fino a ondeggiare..
Così ieri sera doveva essere una di quelle notti: o tutto o niente. I tifosi nonostante il momentaccio della squadra, e con la crisi economica di mezzo, comunque raccolgono l'appello del mister e alla fine in oltre 40.000 rispondono presente. Nei primi quindici minuti il ruggito di San Siro è potente e commovente.. mi riporta alla mente i match di coppa anni '80. Quando il destino ci ha regalato ben pochi trofei, ma il coraggio di chi era in campo è stato immenso e lo stadio tremava a volte fino a ondeggiare..
Poi i lupi tedeschi, complice la solita scarsa concentrazione di Ranocchia and friends, passano in vantaggio e cominciano a giocare in surplace come se si allenassero. Mai vista un'avversaria a San Siro sprecare tante incursioni velenose con tanta sufficienza. Come se fossero stati consapevoli del fatto che in un modo o nell'altro l'avrebbero portata a casa. Nemmeno il momentaneo pareggio di Palacio li ha scomposti più di tanto. Hanno continuato a macinare il loro calcio essenziale ma estremamente funzionale. Tre passaggi in verticale, sempre con l'uomo libero e et voilà, spesso e volentieri uno dei loro davanti a Carrizo.
A un certo punto entra Bendtner, lo ricordavamo bidone e ubriacone a Torino. Però sappiamo che in questa stagione abbiamo giocatori bravissimi a fare proclami altisonanti e altrettanto capaci nel trasformare l'ennesimo scaldabagno avversario nel fenomeno di turno. Insomma con le parole leoni, con i fatti coglioni. Così dopo Ekdal, De Ceglie, Guidetti, riesce a segnare anche lui. Allora i ragazzi della Nord che in precedenza avevano invitato i nostri a tirare fuori gli attributi, finiscono la partita cantando a modo loro che la misura è colma con il resto del pubblico interista che condivide il concetto.
Termina quindi tra lo sconforto di molti e la rabbia di altri questo ottavo di Europa League, che doveva e poteva essere diverso. Un conto è andare a casa a testa alta tipo il Torino. Un altro è mollare il colpo quando si è consapevoli che probabilmente i crucchi saranno tornati a Wolfsburg senza nemmeno fare la doccia. Perché al di là dei singoli, dei mezzi tecnici e degli schemi a questa squadra è mancato il cuore e l'agonismo. Allora in questo caso monta la carogna. E parlando onestamente senza troppi giri di parole, sì, siamo nella merda più completa.
Ci ritroviamo metà marzo e la nostra stagione è già finita. Perché io non mi illudo più. Penso proprio che le partite rimanenti non saranno altro che una forma di accanimento terapeutico. Eppure sulla carta il nostro d.s. è un mago del mercato, l'organico di tutto rispetto, abbiamo perfino cambiato il tecnico e acquisito nuovi rinforzi a gennaio. Non è servito a niente. Parlano di progetto, come se questo termine fosse diventato un nuovo eufemismo del caos universale.
La morale è che in realtà quelli disposti a tutto pur di farcela, per l'ennesima volta, eravamo solo noi. Siamo solo noi quelli che siamo andati ai resti. Sulla falsariga dei protagonisti del film Le Iene di Tarantino, dove un tentativo di spaccata in banca finisce completamente in vacca. Gli unici a scommettere fino in fondo sul passaggio del turno e a uscirne con le ossa rotte. Visto che siamo stati ripagati da giocatori e dirigenti tutti con l'ennesima badilata metaforica sui denti.
Ora mi rimane soltanto l'impatto emozionale che ho provato nel chiudere la porta di casa ieri sera. Per un beffardo scherzo del destino, mi sono ritrovata a fissare una foto di mio padre allo Olympiastadion di Monaco, con Nick Berti in campo e Trap in panca. Il paragone con quello che avevo appena vissuto a San Siro è stato impietoso. Proprio ieri che era la festa del papà. Quanta nostalgia per il mio babbo che non c'è più e per quei ragazzi in campo con la nostra maglia. Poi mi passa, lo so che mi passa, però che fatica.
A un certo punto entra Bendtner, lo ricordavamo bidone e ubriacone a Torino. Però sappiamo che in questa stagione abbiamo giocatori bravissimi a fare proclami altisonanti e altrettanto capaci nel trasformare l'ennesimo scaldabagno avversario nel fenomeno di turno. Insomma con le parole leoni, con i fatti coglioni. Così dopo Ekdal, De Ceglie, Guidetti, riesce a segnare anche lui. Allora i ragazzi della Nord che in precedenza avevano invitato i nostri a tirare fuori gli attributi, finiscono la partita cantando a modo loro che la misura è colma con il resto del pubblico interista che condivide il concetto.
Termina quindi tra lo sconforto di molti e la rabbia di altri questo ottavo di Europa League, che doveva e poteva essere diverso. Un conto è andare a casa a testa alta tipo il Torino. Un altro è mollare il colpo quando si è consapevoli che probabilmente i crucchi saranno tornati a Wolfsburg senza nemmeno fare la doccia. Perché al di là dei singoli, dei mezzi tecnici e degli schemi a questa squadra è mancato il cuore e l'agonismo. Allora in questo caso monta la carogna. E parlando onestamente senza troppi giri di parole, sì, siamo nella merda più completa.
Ci ritroviamo metà marzo e la nostra stagione è già finita. Perché io non mi illudo più. Penso proprio che le partite rimanenti non saranno altro che una forma di accanimento terapeutico. Eppure sulla carta il nostro d.s. è un mago del mercato, l'organico di tutto rispetto, abbiamo perfino cambiato il tecnico e acquisito nuovi rinforzi a gennaio. Non è servito a niente. Parlano di progetto, come se questo termine fosse diventato un nuovo eufemismo del caos universale.
La morale è che in realtà quelli disposti a tutto pur di farcela, per l'ennesima volta, eravamo solo noi. Siamo solo noi quelli che siamo andati ai resti. Sulla falsariga dei protagonisti del film Le Iene di Tarantino, dove un tentativo di spaccata in banca finisce completamente in vacca. Gli unici a scommettere fino in fondo sul passaggio del turno e a uscirne con le ossa rotte. Visto che siamo stati ripagati da giocatori e dirigenti tutti con l'ennesima badilata metaforica sui denti.
Ora mi rimane soltanto l'impatto emozionale che ho provato nel chiudere la porta di casa ieri sera. Per un beffardo scherzo del destino, mi sono ritrovata a fissare una foto di mio padre allo Olympiastadion di Monaco, con Nick Berti in campo e Trap in panca. Il paragone con quello che avevo appena vissuto a San Siro è stato impietoso. Proprio ieri che era la festa del papà. Quanta nostalgia per il mio babbo che non c'è più e per quei ragazzi in campo con la nostra maglia. Poi mi passa, lo so che mi passa, però che fatica.