lunedì 20 aprile 2015

Under The Milky Way


Cala il sipario sull'ultimo derby. Un incontro caratterizzato da uno spettacolo tanto straordinario nelle coreografie delle due curve meneghine, quanto modesto da parte di chi era in campo. Finisce pari e patta una stracittadina che alla vigilia in molti presentavano come dimessa e sottotono, ma è stata comunque vissuta in maniera coinvolgente dai tifosi. Inoltre qualche svista arbitrale di troppo a nostro sfavore ha fatto discutere. Nonostante il momento poco esaltante di entrambe le compagini, questo resta un match che fa storia a sè, che vale la pena di vivere allo stadio  a prescindere.  


E' quello che spinge ragazzi come Alessio, Francesco, Andrea, Renato e altri a percorrere moltissimi chilometri con lo zaino in spalla, le sneakers e il salvadanaio rotto. Perché se ogni volta ti spari tantissima strada pur di presentarsi sugli spalti in tempo, è innegabile che uno slancio simile  possa comportare una notevole dispersione di tempo, pazienza e denaro. Perchè le contrarietà possono essere sempre dietro l'angolo. In autostrada si può beccare la coda. Il volo può essere cancellato. Il treno può viaggiare con forte ritardo. 

Sempre con la voglia di rincorrere il fascio di luce dei riflettori di San Siro. Un'altra forma di essere Donnie Darko insomma. Sto parlando del principale protagonista di un film culto che raccontato in sintesi non sarebbe altro che la narrazione delle vicende di un ragazzo problematico e della sua famiglia che si snodano all'interno di una realtà parallela dove gli sbalzi temporali la fanno da padrone. 


Li accomuna il desiderio di vincere l'oscurità surreale della notte per ritrovare la scia degli astri splendenti. Con lo stesso impeto che viene celebrato in una canzone del gruppo australiano dei Church. Pezzo molto in voga durante gli anni '80 . Si chiama Under the milky way: "Ed è qualcosa di molto particolare / Qualcosa di scintillante e bianco / ti conduce qui, nonostante la destinazione / Sotto la via lattea stasera... ".




Così corrono quei ragazzi per vivere l'attimo del fischio di inizio. Corrono per assecondare lo stato d'animo di quando si salgono gli ultimi gradini che portano al solito posto e si spalanca alla vista l'ultima espressione di prateria metropolitana: il rettangolo di gioco. E la testa ritorna a incontri passati che si mischiano con le aspirazioni proiettate nel futuro immediato e non. 

Come se non potessero sottrarsi alla loro indole, nella continua ricerca di stelle in cielo e in campo. Destino del resto ineluttabbile da chi si sente marchiato dai colori del cielo e della notte. Allora mi viene da credere che in fondo ora siamo un pò tutti Donnie Darko, siamo un pò tutti come quei ragazzi. Un pò tutti disposti a affrontare qualunque disagio pur di tornare a un passato espressione di euforia e competizione per traguardi importanti. Pur di partecipare all'atmosfera magica del momento in cui si srotolano i teli, si sventolano i cartoncini. In cui si esibisce l'orgoglio smisurato della propria appartenenza. 

Poi c'è Lele che era il primo a sedersi sul suo seggiolino al primo verde nel mio settore, uno speciale a modo suo. Quello che ci accoglieva tutti, sempre presente con il freddo con il caldo, nelle partite di cartello e in quelle per pochi intimi. Ieri sera purtroppo invece di incrociare il suo sorriso c'era un mazzo di fiori e una foto a ricordarlo. Ma sono certa che ovunque si sia trovato, nella sua dimensione equivalente, avrà cantato e avrà imprecato. E di sicuro avrà inseguito con passione e ostinazione la sua scia di stelle, proprio come noi. Perché i derby sono sempre speciali, per tutti. 


Per chi si presenta ai cancelli a piedi, per chi colma distanze enormi e anche per chi è altrove. C'è poco da fare, queste non sono e non saranno mai partite come le altre.




P.s. Per coloro che non avessero visto il film e fossero interessati alla visione, per una migliore comprensione, consiglio la lettura del libro The Distructors di Graham Greene al quale la pellicola si è ispirata. Suggerisco inoltre per gli amanti e nonndel genere new wave l'ascolto attento della colonna sonora.   







sabato 18 aprile 2015

OldStyle88

Polemiche, sempre polemiche e ancora polemiche. Quando non derivano da fatti acclarati si creano artificialmente. E nemmeno a farlo apposta non si disquisisce contro chi, nel calcio, ha permesso un disastro finanziario e sportivo vedi caso Parma. 

Ma in compenso succede un pandemonio contro gli striscioni esposti dai romanisti che avevano come argomento la mamma di Ciro Esposito, rea, secondo loro di aver strumentalizzato in modo eccessivo e inopportuno la tragica scomparsa del figlio.

Il discorso peggiora ulteriormente se si considera che durante Roma-Fiorentina di Europa League (dopo il pesante passivo subito) la squadra giallorossa è andata a rendere conto sotto la curva circa il suo momento no. Questo fotografa impietosamente il senso attuale del nostro calcio, e la deriva a mio giudizio malsana verso la quale si sta indirizzando.

Riguardo al primo aspetto, abbiamo un governo, una classe politica, che in linea teorica predica la libertà di pensiero e di opinione, come sostenuto anche dalla costituzione da loro scritta. Però chissà come mai negli stadi, si serrano le fila in nome di un prestestuoso politically correct .

Se penso per esempio che un ragazzo è innocente riguardo a un determinato episodio e lo manifesto con la parola o con una scritta, sono passibile di pesanti conseguenze, cosa che non avviene in tutte le realtà esterne al microcosmo dello stadio.

Se penso che una persona manifesta il proprio dolore in modo troppo pacchiano e interessato (attenzione, non sto dicendo che sia vero) ecco che succede il finimondo. Insomma è un bel casino.

La risonanza attribuita a questi episodi è nettamente superiore a quella data al caso Parma, o alle interviste di Lotito. Il quale certamente non ha scoperto l’acqua calda, essendo il calcio manipolato da interessi, soldi, e da fattori più economici che sportivi.



Il tutto, ripeto, dopo il pubblico processo sotto la Sud in occasione di Roma-Fiorentina. Situazione inaccettabile per lo schieramento benpensante, che non può tollerare che un lavoratore che non stia rendendo o che stia deludendo il proprio datore di lavoro (che ricordiamolo non è James Pallotta ma sono i tifosi della Roma) venga processato sulla pubblica piazza.

Bell’esempio che diamo ai bambini, i finti destinatari di queste sterili discussioni, che si finge di tutelare promuovendo comportamenti assolutamente non educativi, non mettendoli di fronte alle proprie responsabilità e non insegnando loro il valore delle cose. 

Gli stessi organi stampa che si schierano apertamente a favore di chi conduce un'esistenza all'insegna del lusso, della bella vita, e  dell’assoluto menefreghismo, sono poi sempre quelli che però ignorano troppo spesso che nella vita quotidiana le pressioni commerciali nei posti di lavoro.

Ignorano il mobbing esasperato riguardante il rendimento a obiettivi, il raggiungimento di determinati risultati nelle rispettive professioni. In tal caso le angherie sono tollerate e i dipendenti sottopagati e maltrattati si devono accontentare di una pacca sulla spalla, seguita dalla solita considerazione “non ti lamentare, sei già fortunato ad averlo un lavoro”, quasi che lavorare sia un lusso. Mentre giocare a pallone guadagnando fior di soldi invece cosa sarebbe???

Il distacco tra vita normale dei tifosi e quella dorata dei calciatori è così evidente. Eppure nonostante questo secondo molti non si può permettere che la gente fischi, o comunque non applauda comunque la prestazione di uno che magari ha tirato le cinque di mattina in discoteca e in campo cammina (ovviamente chi paga sborsa qualche soldino per comprare il biglietto). 

Eppure Pallotta, da bravo yankee, dovrebbe saperlo. Negli Stati Uniti è risaputo che se a livello professionale non soddisfi i parametri produttivi, è pratica usuale darti un calcio in culo, senza troppi complimenti.

La stessa dinamica si replica lontano dai riflettori della ribalta in quel di Bergamo. Allora le reazioni sono opposte e le percezioni giornalistiche flebili. La notizia è quasi occultata e comunque letta sotto un'altra propsettiva, ma perché?

Perché il signor Pallotta è americano e in Italia ci manca solo che siano quelli della Groenlandia a spiegarci come a fare la pizza, per quanto pensiamo di essere inetti e incapaci. 

Quindi la domanda sarebbe: ma come abbiamo fatto per 150 anni e anche prima con i vari stati? No è la nostra una storia, all'insegna di cultura, di tradizioni che il nostro millenario paese ha vissuto ed esportato? Anche a livello di football, come siamo riusciti a primeggiare per tanti decenni?

Ora, pare, siamo impossibilitati a fare qualcosa di buono. Bisogna quindi sperare che tanti Pallotta salvino l’Italia dal disastro acquistando società di calcio, investendo, tirando fuori soldi di tasca loro, portando i Bale, i CR7, i Messi, e non certo facendo giocare italiani. Già sentite queste discriminazioni nella vita reale?

Toccare lui significa toccare una marea di potenziali investitori, significa quindi mandare a monte il progetto. Questo è il vero aspetto intollerabile della situazione. Thohir al momento si è sempre espresso diversamente sull’argomento, badando più a altre tematiche rispetto a queste. Ecco perché il romanista si chiede: perché sempre la Roma? Perché la Roma il piccolo particolare di avere un proprietario statunitense.

Non mi stupirei se l’iniziativa del McDonald di offrire colazioni a chi si presenta in pigiama fosse stata lanciata per valutare oggettivamente il grado di demenza di un popolo. A riguardo devo dire che hanno avuto ottime risposte, del resto penso siano le stesse persone che in linea teorica dovrebbero popolare gli stadi secondo i nostri moderni capitalisti.

Qualcuno dirà: ma domenica c'è il derby (o c'è stato, a seconda di quando leggerete). Bene, questo derby ribattezzato dei poveri per me sarà sempre un derby da ricchi e sarà sempre meraviglioso... per il semplice fatto che sarò presente.