Quando si perde qualcuno di molto caro, nel mio caso specifico un genitore, torna alla mente ogni insegnamento, ogni ricordo, ogni cosa che questa persona ci ha lasciato, quasi fossero dei flash.
Da qualche giorno, le parole di mio padre ormai scomparso da un anno e mezzo, mi rimbombano nella testa per tante cose ma in particolare per il discorso “famiglie in curva” con un episodio molto significativo che vi voglio raccontare e spero sia molto chiaro.
Premessa: l’educazione che ho ricevuto può essere riassunta nel mettermi di fronte sempre e comunque alle mie responsabilità e le punizioni che ricevevo quando facevo qualcosa erano semplicemente un anticipo dell’effettivo svolgimento dei fatti (comunque inequivocabilmente era chiaro il colpevole…cioè io).
Avevo nove anni nel 1991 quando a fine aprile mio papà e mio cugino decidono di farmi terminare la mia prima stagione da tifoso assistendo a San Siro a Inter Cesena. In quella meraviglia nasce il mio desiderio più grande e cioè vedere la partita dalla curva nord.
Tornando a casa comincio a insistere su questo mio desiderio, e naturalmente da bambino capriccioso vado avanti per i giorni successivi, settimane, mesi, anni. Ebbene, la mia prima in Nord nel gruppo di cui faccio orgogliosamente parte ormai da molto tempo, sarà datata settembre 1996, Inter Perugia 1-0 con gol di Zanetti.
Nello spazio di cinque anni immaginate un po’ quante volte ho puntato i piedi.. ma nulla! Sentire la crociata delle famiglie in curva mi fa ridere se penso a ciò che i miei genitori mi dicevano:
“Lì ci vanno ragazzi più grandi di te, perché saltano si spintonano, si divertono, ed essendo di venti anni in media non si curerebbero di te che ne hai nove dieci. Sarebbe facile cadere e farsi male perché la media delle persone che va in curva è di uno standard diverso. Ci andrai quando sarai cresciuto potrai permettertelo”.
Non un accenno alla violenza, non una paternale su quei cattivi che la domenica si picchiano. Semplicemente: quello non è posto per te ora. Lo sarà. Ma non adesso.
Per chi sposa le teorie dei nostri signori politici e dirigenti della lega calcio con mirabolanti iniziative ridicole e insensate (come sempre; d’altronde se un incompetente costruisce male un qualcosa, pur distruggendola, se a costruirla è sempre lo stesso non potrà che rinascere una grandissima cazzata), potrebbe avere la risposta pronta nel ribattere che ai tempi avrei dovuto avere la possibilità di andarci anche io, pur avendo nove anni.
Bene, lo stesso discorso per me valeva quando al parco giochi volevo giocare con qualcuno più grande. Non cambiava di una virgola il suggerimento di mia mamma e di mio papà, che mi invitavano a fare ciò che la mia età mi permetteva salvo poi rimproverarmi se dopo aver disobbedito portavo sulle ginocchia i segni di quanto loro mi avevano ampiamente pronosticato.
Sono stato educato alla tolleranza ma al contempo alla difesa di ciò che è mio. In ambito stadio potrei riassumere: esiste la curva dove a vedere la partita ci vanno persone che hanno un determinato concetto su come viverla e devono rispettare se lo stadio intero non segue il tifo (sarebbe bello vedere San Siro sempre imbandierato ma rispetto chi ha altre esigenze), e esiste tutto il resto che deve rispettare però il modo di vivere la partita in curva.
Se ci vieni sai cosa ti aspetta. Se vado altrove devo sapere io cosa mi aspetta. Sentirmi in quanto ultras un cittadino di serie b per la legge, e un facile bersaglio per tutti, non mi dà particolarmente fastidio anche perché ho smesso ormai da tempo di leggere giornali e guardare la tv.
Per i genitori però che lamentano la vecchia educazione che veniva impartita loro quando erano piccoli, sarebbe bello sapere se si riconoscono anche in questo negli anni 2010 oppure se hanno dimenticato la società civile in cui sono cresciuti.